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IL PORTABORSE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 maggio 1991
 
di Daniele Luchetti, con Nanni Moretti, Silvio Orlando, Angela Finocchiaro (Italia, 1991)
 
Timido, praticamente imbranato professore di liceo napoletano viene sorprendentemente ingaggiato da un giovane ministro rampante, di connotazione inequivocabilmente craxiana. Il suo ruolo è quello che gli americani definiscono di "ghost writer": l'intellettuale che, dietro le quinte, scrive i discorsi, detta le repliche, suggerisce le vie d'uscita all'uomo al potere. Inizialmente sedotto, più che dalle BMW rosso fiammanti che ben presto gli giungono in omaggio, dalla personalità ambigua del ministro (che Nanni Moretti interpreta con l'abituale finissima mistura di fede ed autoironia) e dall'eccentricità della sua esperienza, finirà ben presto disamorato, e quindi disgustato.

IL PORTABORSE, pur apparentemente lontano dalle atmosfere picaresche del primo film di Luchetti, DOMANI ACCADRA', ripropone alcune costanti che già sembrano accompagnare l'opera del giovane assistente di Moretti in BIANCA e LA MESSA È FINITA. Come in quel caso, è una sorta di utopia che sembra sollecitare il protagonista (e la dinamica che sostiene il film) in una vera e propria fuga in avanti: la fede, scanzonata e grottesca all'inizio, poi vieppiù' seria fino a farsi drammatica, in un itinerario che sempre di più si apparenta ad un calvario. Un seguito di prove, quasi iniziatiche, che i personaggi debbono affrontare per accedere ad un nuovo statuto: sociale, ma soprattutto morale. Quasi che la felicità esistenziale, la convinzione ideologica, la serenità morale non siano raggiungibili se non attraverso il confronto con dei mutamenti, delle prove che ci costringano ad affacciarci alla finestra di una realtà inedita. Così, in un inizio quasi farsesco, il professore idealista e vicino ai suoi allievi scapestrati affronta il cambiamento con un comico, incosciente stupore. Ma, una volta confrontato alla ben nota dimensione romana eccolo ben presto dapprima disincantato, poi chiaramente sdegnato.

È un po', allora, come se le due personalità di Luchetti e Moretti (così difficili, talvolta, da distinguere, tale è il loro rapporto di amicizia e collaborazione) venissero a confondersi: ed il salutare, goloso appetito del primo nel piacere della caratterizzazione, dell'intimità quasi fisica e sensuale con i personaggi, sfocia nel grottesco rigoroso e rabbioso del moralismo morettiano. IL PORTABORSE raggiunge allora l'apice dei suoi pregi, che è paradossalmente anche quello dei suoi limiti: la volontà di essere il più possibile esplicito ed incondizionato nel discorso.

La sincerità, la schiettezza del film ne fanno un'opera di denuncia intelligente e sorprendente, in questo senso innovativa rispetto ad un certo grottesco ambiguo della commedia all'italiana. Ma al tempo stesso, la sua intransigenza, il suo coraggio di buttarsi a testa bassa finiscono per tradirlo: conducendolo verso un certo schematismo, una prevedibilità (la frode elettorale, il personaggio dell'integerrimo funzionario addetto agli elaboratori) che certo non è quella dell'autore di PALOMBELLA ROSSA. E nemmeno del suo giovane e brillante assistente.


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